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uraniaexlibris's Reviews (99)
dark
emotional
sad
tense
slow-paced
Plot or Character Driven:
Character
Strong character development:
Yes
Loveable characters:
Yes
Diverse cast of characters:
Yes
Flaws of characters a main focus:
Yes
Covi segreti, bende sull'occhio, pappagalli sulla spalla, gambe di legno, avventure entusiasmanti per tutti i sette mari, tesori inestimabili da conquistare, arrembaggi... ah no! Quello è "L'Isola del Tesoro" di Robert Louis Stevenson.
Ma è una premessa doverosa, perché stavolta al centro dell'attenzione c'è lui: Long John Silver. Quel personaggio nato dalla penna di Stevenson che ha contribuito significativamente alla consacrazione dell'immaginario collettivo del pirata.
Se però l'opera di Stevenson nasceva in seno al 1800, epoca immediatamente successiva al secolo d'oro della pirateria fenomeno che comunque non si era del tutto assopito, anche se non era più ai suoi massimi splendori, quella di Larsson è un'opera del tutto contemporanea, più riflessiva, intima se vogliamo. Il Long John Silver che conosciamo attraverso queste pagine non è un pirata nel pieno della sua potenza distruttiva, ma un vecchio lupo di mare stanco che passa in rassegna la sua esistenza.
"Narrativa Nautica", così l'ho definita, per amore di completezza, anche se non è esattamente la Nautical Fiction tradizionale.
E noi che siamo abituati a considerare il pirata come un eroe sovraumano, dobbiamo temporaneamente deporre le avventure e i miti, perché in questo flusso di coscienza c'è soltanto un uomo.
Ma è una premessa doverosa, perché stavolta al centro dell'attenzione c'è lui: Long John Silver. Quel personaggio nato dalla penna di Stevenson che ha contribuito significativamente alla consacrazione dell'immaginario collettivo del pirata.
Se però l'opera di Stevenson nasceva in seno al 1800, epoca immediatamente successiva al secolo d'oro della pirateria fenomeno che comunque non si era del tutto assopito, anche se non era più ai suoi massimi splendori, quella di Larsson è un'opera del tutto contemporanea, più riflessiva, intima se vogliamo. Il Long John Silver che conosciamo attraverso queste pagine non è un pirata nel pieno della sua potenza distruttiva, ma un vecchio lupo di mare stanco che passa in rassegna la sua esistenza.
"Narrativa Nautica", così l'ho definita, per amore di completezza, anche se non è esattamente la Nautical Fiction tradizionale.
E noi che siamo abituati a considerare il pirata come un eroe sovraumano, dobbiamo temporaneamente deporre le avventure e i miti, perché in questo flusso di coscienza c'è soltanto un uomo.
dark
reflective
sad
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Plot or Character Driven:
Character
Strong character development:
Yes
Loveable characters:
Yes
Diverse cast of characters:
Yes
Flaws of characters a main focus:
Yes
Già dalle prime pagine, questo libro mi ha riportato alla mente "La Sala da Ballo" di Anna Hope e mi ha trascinata nuovamente in queste vibes cupe, gotiche, con una venatura horror. In parte mi ha ricordato anche "Il Racconto dell'Ancella" di Margaret Atwood che a differenza di questo, mi è piaciuto di meno.
In effetti, questo romanzo storico è una perfetta combinazione di questi due libri. Da un lato, la tematica dell'oppressione della figura femminile e del suo sfruttamento, dall'altro, la terribile realtà dei manicomi che viene unita a quella religiosa. Non c'è una data precisa, ma sicuramente l'ambientazione è antecedente al XX secolo.
Il motivo per cui l'ho apprezzato più dell'opera della Atwood è questo realismo verghiano quasi ottocentesco nello stile che a me personalmente piace molto, inoltre rimane all'interno delle tematiche sociali e non sfocia in quelle politiche.
Lo consiglio personalmente a chiunque cerchi una storia struggente e drammatica, profonda e con tematiche sulle quali riflettere. Non è una lettura leggera, anche perché i personaggi maschili sono volutamente resi ambigui, spesso impostati come se fossero sempre pronti ad aggredire. Delle figure non tranquille che rendono il lettore sempre in tensione.
In effetti, questo romanzo storico è una perfetta combinazione di questi due libri. Da un lato, la tematica dell'oppressione della figura femminile e del suo sfruttamento, dall'altro, la terribile realtà dei manicomi che viene unita a quella religiosa. Non c'è una data precisa, ma sicuramente l'ambientazione è antecedente al XX secolo.
Il motivo per cui l'ho apprezzato più dell'opera della Atwood è questo realismo verghiano quasi ottocentesco nello stile che a me personalmente piace molto, inoltre rimane all'interno delle tematiche sociali e non sfocia in quelle politiche.
Lo consiglio personalmente a chiunque cerchi una storia struggente e drammatica, profonda e con tematiche sulle quali riflettere. Non è una lettura leggera, anche perché i personaggi maschili sono volutamente resi ambigui, spesso impostati come se fossero sempre pronti ad aggredire. Delle figure non tranquille che rendono il lettore sempre in tensione.
adventurous
emotional
inspiring
mysterious
sad
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slow-paced
Plot or Character Driven:
Plot
Strong character development:
Yes
Loveable characters:
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Diverse cast of characters:
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Flaws of characters a main focus:
Yes
Non sarà "Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle", ma anche quest'opera di Turton ha il suo fascino. Lasciamo un'escape room claustrofobica e vincolata per librarci in terre sconosciute (più o meno) e avventurose e il talento di Turton si libra sulle ali del romanzo storico per intrecciarsi con il mystery e... il fantasy? Leggete per scoprirlo!
Si tratta di un romanzo corposo e particolarmente avvincente che trascina il lettore nel mondo marinaresco e imperialista. L'ambientazione protagonista è infatti Batavia, facente parte delle colonie olandesi asiatiche. Una chicca per gli appassionati di storia certamente, ma non per questo risulta tedioso, tutt'altro: la storia si respira in ogni sua pagina senza però togliere alla componente avventurosa e paranormale.
Anche in questo caso, Turton giostra molto bene l'aspetto più paranormale che va a incastonarsi perfettamente nella trama senza che esso risulti un ingombro come già era stato per "Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle". Anche in questo caso, sebbene sia il motore e il cuore pulsante del romanzo, non è assolutamente un monopolizzatore della scena, ma al contrario, la accompagna pazientemente fino alla risoluzione finale.
Si tratta di un romanzo corposo e particolarmente avvincente che trascina il lettore nel mondo marinaresco e imperialista. L'ambientazione protagonista è infatti Batavia, facente parte delle colonie olandesi asiatiche. Una chicca per gli appassionati di storia certamente, ma non per questo risulta tedioso, tutt'altro: la storia si respira in ogni sua pagina senza però togliere alla componente avventurosa e paranormale.
Anche in questo caso, Turton giostra molto bene l'aspetto più paranormale che va a incastonarsi perfettamente nella trama senza che esso risulti un ingombro come già era stato per "Le Sette Morti di Evelyn Hardcastle". Anche in questo caso, sebbene sia il motore e il cuore pulsante del romanzo, non è assolutamente un monopolizzatore della scena, ma al contrario, la accompagna pazientemente fino alla risoluzione finale.
dark
lighthearted
sad
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fast-paced
Plot or Character Driven:
A mix
Strong character development:
Yes
Loveable characters:
Yes
Diverse cast of characters:
Yes
Flaws of characters a main focus:
Yes
Un inizio in medias res quello di "Misery" che rivela a poco a poco tutto l'orrore di questo romanzo. Stephen King affronta il tema del rapporto tra scrittore e fan in chiave thriller e horror.
Perché Annie Wilkins non è una normale fan di Paul Sheldon. Tutt'altro. Annie Wilkins è il suo peggiore incubo, la sua sequestratrice, il suo aguzzino.
Un romanzo molto disturbante che può tranquillamente valergli l'annoveramento tra gli horror. Riuscirà Paul Sheldon a uscirne vivo?
Ad aumentare il senso di claustrofobia da parte del lettore, c'è il fatto che è un romanzo a stanza chiusa. L'ambientazione è praticamente solo e soltanto la stanza in cui Sheldon è rinchiuso. Il problema con questo tipo di opere è sempre quello di saper intrattenere il lettore nella monotonia della scena (problema che affrontano i film dello stesso tipo, vedasi "Carnage" di Roman Polanski) e in 400 pagine la sfida era più che ardua. Ma il Re si riconferma tale e per l'ennesima volta trascina il lettore nel vortice malato della vita di Annie coinvolgendolo fino all'ultima pagina.
Inizio a pensare che potrei tranquillamente chiudere gli occhi e pescare a caso tra i libri di King. Qualsiasi cosa pescherei, sarebbe sicuramente un capolavoro da divorare.
Perché Annie Wilkins non è una normale fan di Paul Sheldon. Tutt'altro. Annie Wilkins è il suo peggiore incubo, la sua sequestratrice, il suo aguzzino.
Un romanzo molto disturbante che può tranquillamente valergli l'annoveramento tra gli horror. Riuscirà Paul Sheldon a uscirne vivo?
Ad aumentare il senso di claustrofobia da parte del lettore, c'è il fatto che è un romanzo a stanza chiusa. L'ambientazione è praticamente solo e soltanto la stanza in cui Sheldon è rinchiuso. Il problema con questo tipo di opere è sempre quello di saper intrattenere il lettore nella monotonia della scena (problema che affrontano i film dello stesso tipo, vedasi "Carnage" di Roman Polanski) e in 400 pagine la sfida era più che ardua. Ma il Re si riconferma tale e per l'ennesima volta trascina il lettore nel vortice malato della vita di Annie coinvolgendolo fino all'ultima pagina.
Inizio a pensare che potrei tranquillamente chiudere gli occhi e pescare a caso tra i libri di King. Qualsiasi cosa pescherei, sarebbe sicuramente un capolavoro da divorare.
Graphic: Domestic abuse, Drug abuse, Emotional abuse, Physical abuse, Violence
dark
emotional
sad
tense
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Plot or Character Driven:
Character
Strong character development:
Yes
Loveable characters:
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Diverse cast of characters:
Yes
Flaws of characters a main focus:
Yes
In medio stat virtus.
Personalmente sono sempre stata scettica riguardo i libri troppo lodati e troppo criticati al tempo stesso.
Premetto di aver visto i film di questa serie nella tarda adolescenza e di averli trovati un prodotto cinematografico sublime e ben riuscito al punto di averli citati nella mia tesi di laurea. I romanzi mi accingo a leggerli all’età di venticinque anni.
Il mio verdetto non è sbilanciato né sul negativo, ma neanche sul positivo.
Non negativi perché comunque è una storia pulita e molto contenuta, il che, considerato il pubblico a cui si riferisce, va più che bene.
Inoltre, ha avuto il grande merito di rilanciare il genere del paranormal romance.
In terzo luogo, l’autrice è mormona, aspetto che si nota nella storia e che l’autrice stessa ha ammesso avere avuto molta influenza nella strutturazione della trama.
Poi se ancora si vuole tirare in ballo critiche, è evidente che quei libri non vogliano essere nulla di più che semplice intrattenimento. Perciò, keep calm, che non stiamo parlando di una novella Stoker.
A livello di critica letteraria/cinematografica, alla Meyer si riconosce certamente il grande merito di avere rivoluzionato la figura del vampiro, di aggiungere l’etica laddove nel mondo degli undead (non-morti) non era prevista.
Si può dire che Nosferatu avesse un’etica nelle sue azioni? O meglio ancora, che l’avesse Dracula?
Nulla di diverso da quel che fece Oscar Wilde con un altro undead, il fantasma (cfr. “Il Fantasma di Canterville”).
Una rilettura svecchiata, fresca, effettivamente nuova, che male non fa se si considera che i personaggi, che da sempre popolano le storie fantastiche e horror (la mummia, lo zombi, il vampiro, il fantasma), sono da sempre bloccati in stereotipi ammuffiti.
Quanto alla critica riguardo il personaggio di Isabella Swan, ricordo che si sta parlando di un romance e il romance vuole di regola (perché così è il genere letterario) il lieto fine. Così deve andare, perché questo i lettori si aspettano di leggere e la categoria di romance è nella fattispecie quella del paranormale, anch’essa con delle strutture narrative ben precise.
Quanto agli aspetti non positivi, l’unica pecca della Meyer è di aver trascurato di molto il worldbuilding, ovvero tutto ciò che c’è intorno al mondo da lei creato. Ad esempio, il passato dei personaggi si poteva approfondire meglio, oppure le storie e leggende sui vari clan dei vampiri o licantropi.
A ciò devo aggiungere con rammarico una scrittura dal tratto infantile. Poco matura, anche se nella saga un leggero cambio di stile si nota (come in “Harry Potter”), in effetti “Breaking Dawn” è l’opera dallo stile più maturo, perché del resto più matura si rende la protagonista.
Posso dire in conclusione che è una lettura da affrontare senza pretese, per passare qualche ora di svago.
Personalmente sono sempre stata scettica riguardo i libri troppo lodati e troppo criticati al tempo stesso.
Premetto di aver visto i film di questa serie nella tarda adolescenza e di averli trovati un prodotto cinematografico sublime e ben riuscito al punto di averli citati nella mia tesi di laurea. I romanzi mi accingo a leggerli all’età di venticinque anni.
Il mio verdetto non è sbilanciato né sul negativo, ma neanche sul positivo.
Non negativi perché comunque è una storia pulita e molto contenuta, il che, considerato il pubblico a cui si riferisce, va più che bene.
Inoltre, ha avuto il grande merito di rilanciare il genere del paranormal romance.
In terzo luogo, l’autrice è mormona, aspetto che si nota nella storia e che l’autrice stessa ha ammesso avere avuto molta influenza nella strutturazione della trama.
Poi se ancora si vuole tirare in ballo critiche, è evidente che quei libri non vogliano essere nulla di più che semplice intrattenimento. Perciò, keep calm, che non stiamo parlando di una novella Stoker.
A livello di critica letteraria/cinematografica, alla Meyer si riconosce certamente il grande merito di avere rivoluzionato la figura del vampiro, di aggiungere l’etica laddove nel mondo degli undead (non-morti) non era prevista.
Si può dire che Nosferatu avesse un’etica nelle sue azioni? O meglio ancora, che l’avesse Dracula?
Nulla di diverso da quel che fece Oscar Wilde con un altro undead, il fantasma (cfr. “Il Fantasma di Canterville”).
Una rilettura svecchiata, fresca, effettivamente nuova, che male non fa se si considera che i personaggi, che da sempre popolano le storie fantastiche e horror (la mummia, lo zombi, il vampiro, il fantasma), sono da sempre bloccati in stereotipi ammuffiti.
Quanto alla critica riguardo il personaggio di Isabella Swan, ricordo che si sta parlando di un romance e il romance vuole di regola (perché così è il genere letterario) il lieto fine. Così deve andare, perché questo i lettori si aspettano di leggere e la categoria di romance è nella fattispecie quella del paranormale, anch’essa con delle strutture narrative ben precise.
Quanto agli aspetti non positivi, l’unica pecca della Meyer è di aver trascurato di molto il worldbuilding, ovvero tutto ciò che c’è intorno al mondo da lei creato. Ad esempio, il passato dei personaggi si poteva approfondire meglio, oppure le storie e leggende sui vari clan dei vampiri o licantropi.
A ciò devo aggiungere con rammarico una scrittura dal tratto infantile. Poco matura, anche se nella saga un leggero cambio di stile si nota (come in “Harry Potter”), in effetti “Breaking Dawn” è l’opera dallo stile più maturo, perché del resto più matura si rende la protagonista.
Posso dire in conclusione che è una lettura da affrontare senza pretese, per passare qualche ora di svago.
adventurous
funny
reflective
relaxing
fast-paced
Plot or Character Driven:
Plot
Strong character development:
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Loveable characters:
Yes
Diverse cast of characters:
Yes
Flaws of characters a main focus:
Yes
Rileggere un libro della propria infanzia nell’età adulta è sempre piacevole. Del resto, “La Fabbrica di Cioccolato” di Tim Burton resta uno dei miei film preferiti.
Dietro tutte le fiabe però c’è un significato nascosto, un significato che i bambini di solito non colgono fermandosi alla mera struttura narrativa.
Era il 1964 quando Roald Dahl scrisse questa fiaba.
E Roald Dahl era della generazione del 1916. Il che si traduce in un conservatorismo estremo anche dal punto di vista pedagogico.
Del resto come finisce il libro? Sicuramente tutti avremo memoria che chi si comporta male alla fine viene punito e siccome Roald Dahl non è discriminatorio riserva una punizione anche a chi è responsabile di ciò.
Ma gli stessi personaggi sono un simbolo. Avete mai fatto caso, ad esempio, che ciascun bambino rappresenta un peccato o un vizio capitale universalmente condannato dalla morale occidentale (cattolica)?
Augustus Gloop incarna la gola. Il vizio di fare del cibo il perno attorno a cui ruota la sua intera esistenza. Non c’è scena in cui non lo si veda ingozzarsi di qualcosa di commestibile. E anche dopo che la sua ingordigia lo ha messo nei guai, lo si vede comunque mangiare all’atto finale.
Veruca Salt, l’avarizia. Viziata, estremamente capricciosa e insolente. Ha tutto, eppure vorrebbe sempre più di ciò che ha.
Violetta Beauregarde, la superbia. Distaccata, convinta della propria superiorità. Il disprezzo per gli altri la renderà sorda ad ogni avvertimento.
Mike Tivù, l’ira (nel film più che altro l’accidia). Nel libro viene descritto come un esaltato, perennemente iracondo, mentre nel film viene presentato come un indolente, pigro e totalmente inerte nei confronti della vita se non nei confronti della televisione e dei videogame.
Charlie Bucket è, ovviamente, il santo, il bambino buono, tutto carino, educato, timidino, gentile. E grazie al piffero, voglio dire, sono bravi tutti ad essere buoni senza possedere assolutamente nulla.
Il messaggio di Roald Dahl alla fine della fiera è questo: i buoni sono sempre i poveri e i ricchi sono quelli cattivi. Come se non esistessero ricchi buoni e non esistessero poveri cattivi. Insomma, la visione di Dahl della società è piuttosto manichea, tertium non detur, non esiste nessun grigio!
E come non notare l’accezione politica dietro la rappresentazione dei vari personaggi. Non me lo sarei mai aspettata da un ex combattente della Royal Air Force!
Augustus Gloop, di origine tedesca, rappresentato come un maiale che si ingozza perennemente.
Violetta Beauregarde, sembra quasi rappresentare la Francia di Vichy.
Veruca Salt, sì è inglese, ma un buon inglese non è un buon inglese se non criticasse la sua stessa nazione. Del resto, Riley Scott non ha mancato di denunciare le torture che l’Impero Britannico ha perpetrato alle sue colonie, anche se era egli stesso inglese.
Mike Tivù e Charlie Bucket rappresentano l’America. L’America che guarda tanta televisione, ma anche l’America alleata e liberatrice.
Comunque sia, gli amanti dei dolci non possono non adorare questo romanzo che riunisce al suo interno tutte le cose che un bambino sogna nella vita: tanto cioccolato, tante creature strane super folkloristiche, ma soprattutto, ereditare una fabbrica di cioccolato semplicemente stando zitto e buono in una visita che dura ventiquattro ore!
Dietro tutte le fiabe però c’è un significato nascosto, un significato che i bambini di solito non colgono fermandosi alla mera struttura narrativa.
Era il 1964 quando Roald Dahl scrisse questa fiaba.
E Roald Dahl era della generazione del 1916. Il che si traduce in un conservatorismo estremo anche dal punto di vista pedagogico.
Del resto come finisce il libro? Sicuramente tutti avremo memoria che chi si comporta male alla fine viene punito e siccome Roald Dahl non è discriminatorio riserva una punizione anche a chi è responsabile di ciò.
Ma gli stessi personaggi sono un simbolo. Avete mai fatto caso, ad esempio, che ciascun bambino rappresenta un peccato o un vizio capitale universalmente condannato dalla morale occidentale (cattolica)?
Augustus Gloop incarna la gola. Il vizio di fare del cibo il perno attorno a cui ruota la sua intera esistenza. Non c’è scena in cui non lo si veda ingozzarsi di qualcosa di commestibile. E anche dopo che la sua ingordigia lo ha messo nei guai, lo si vede comunque mangiare all’atto finale.
Veruca Salt, l’avarizia. Viziata, estremamente capricciosa e insolente. Ha tutto, eppure vorrebbe sempre più di ciò che ha.
Violetta Beauregarde, la superbia. Distaccata, convinta della propria superiorità. Il disprezzo per gli altri la renderà sorda ad ogni avvertimento.
Mike Tivù, l’ira (nel film più che altro l’accidia). Nel libro viene descritto come un esaltato, perennemente iracondo, mentre nel film viene presentato come un indolente, pigro e totalmente inerte nei confronti della vita se non nei confronti della televisione e dei videogame.
Charlie Bucket è, ovviamente, il santo, il bambino buono, tutto carino, educato, timidino, gentile. E grazie al piffero, voglio dire, sono bravi tutti ad essere buoni senza possedere assolutamente nulla.
Il messaggio di Roald Dahl alla fine della fiera è questo: i buoni sono sempre i poveri e i ricchi sono quelli cattivi. Come se non esistessero ricchi buoni e non esistessero poveri cattivi. Insomma, la visione di Dahl della società è piuttosto manichea, tertium non detur, non esiste nessun grigio!
E come non notare l’accezione politica dietro la rappresentazione dei vari personaggi. Non me lo sarei mai aspettata da un ex combattente della Royal Air Force!
Augustus Gloop, di origine tedesca, rappresentato come un maiale che si ingozza perennemente.
Violetta Beauregarde, sembra quasi rappresentare la Francia di Vichy.
Veruca Salt, sì è inglese, ma un buon inglese non è un buon inglese se non criticasse la sua stessa nazione. Del resto, Riley Scott non ha mancato di denunciare le torture che l’Impero Britannico ha perpetrato alle sue colonie, anche se era egli stesso inglese.
Mike Tivù e Charlie Bucket rappresentano l’America. L’America che guarda tanta televisione, ma anche l’America alleata e liberatrice.
Comunque sia, gli amanti dei dolci non possono non adorare questo romanzo che riunisce al suo interno tutte le cose che un bambino sogna nella vita: tanto cioccolato, tante creature strane super folkloristiche, ma soprattutto, ereditare una fabbrica di cioccolato semplicemente stando zitto e buono in una visita che dura ventiquattro ore!
adventurous
challenging
dark
emotional
sad
tense
fast-paced
Plot or Character Driven:
A mix
Strong character development:
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Loveable characters:
Yes
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Yes
Flaws of characters a main focus:
Yes
I giochi di Haymitch li attendevo da tempo, soprattutto perché è il mio personaggio preferito in assoluto nella saga di Hunger Games.
Rimango dell'idea che i giochi di Katniss e Peeta e i loro Quarter Quell rappresentino appieno la distopia dell'ambientazione. Se si poteva tollerare che i giochi del giovane Coriolanus fossero grezzi dovendo ancora prendere forma ed essendo ambientati poco dopo i giorni bui, quelli di Haymitch sono ancora imperfetti pur essendo vicini a quelli dei protagonisti della saga.
L'aspetto migliore di questo romanzo è quello di conoscere meglio Wiress, Marge e Beetee. Mentori di Haymitch e futuri fautori della ribellione contro Capitol City.
Non più personaggi marginali, ma attori di una messa in scena che dura da fin troppi anni. Gli Hunger Games. La trama è ben costruita e coinvolgente. E forse il libro andrebbe letto con "La Ballata dell'Usignolo del Serpente" in ordine rispetto ai fatti principali (occhio che questo libro sull'epilogo contiene degli spoiler sulla saga gigantissimi) come sto facendo io quest'anno. Certo, la saga principale sarà una rilettura, ma chi non li avesse ancora letti rispetti il seguente ordine!
0.0 "La Ballata dell'Usignolo e del Serpente"
0.5 "L'Alba sulla Mietitura"
1 "Hunger Games"
2 "La Ragazza di Fuoco"
3 "Il Canto della Rivolta"
Secondo me renderebbero di più. Anche perché c'è un climax interessante riguardo ai giochi. Da primitivi a magnificenti.
Eccolo qui il fuoco della rivoluzione che ha toccato i vincitori ancora prima che la ghiandaia imitatrice facesse il suo esordio, un passato finalmente svelato che leggendo la saga principale potevamo solo immaginare.
Siamo tutti uniti. Vincitori e vinti.
Benvenuti ai cinquantesimi Hunger Games. E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore.
Rimango dell'idea che i giochi di Katniss e Peeta e i loro Quarter Quell rappresentino appieno la distopia dell'ambientazione. Se si poteva tollerare che i giochi del giovane Coriolanus fossero grezzi dovendo ancora prendere forma ed essendo ambientati poco dopo i giorni bui, quelli di Haymitch sono ancora imperfetti pur essendo vicini a quelli dei protagonisti della saga.
L'aspetto migliore di questo romanzo è quello di conoscere meglio Wiress, Marge e Beetee. Mentori di Haymitch e futuri fautori della ribellione contro Capitol City.
Non più personaggi marginali, ma attori di una messa in scena che dura da fin troppi anni. Gli Hunger Games. La trama è ben costruita e coinvolgente. E forse il libro andrebbe letto con "La Ballata dell'Usignolo del Serpente" in ordine rispetto ai fatti principali (occhio che questo libro sull'epilogo contiene degli spoiler sulla saga gigantissimi) come sto facendo io quest'anno. Certo, la saga principale sarà una rilettura, ma chi non li avesse ancora letti rispetti il seguente ordine!
0.0 "La Ballata dell'Usignolo e del Serpente"
0.5 "L'Alba sulla Mietitura"
1 "Hunger Games"
2 "La Ragazza di Fuoco"
3 "Il Canto della Rivolta"
Secondo me renderebbero di più. Anche perché c'è un climax interessante riguardo ai giochi. Da primitivi a magnificenti.
Eccolo qui il fuoco della rivoluzione che ha toccato i vincitori ancora prima che la ghiandaia imitatrice facesse il suo esordio, un passato finalmente svelato che leggendo la saga principale potevamo solo immaginare.
Siamo tutti uniti. Vincitori e vinti.
Benvenuti ai cinquantesimi Hunger Games. E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore.
emotional
lighthearted
sad
tense
fast-paced
Plot or Character Driven:
Plot
Strong character development:
Yes
Loveable characters:
Yes
Diverse cast of characters:
Yes
Flaws of characters a main focus:
Yes
Questa saga a mio parere ha un unico difetto: quello di essere etichettata spesso come “fantasy”, “young adults”, “letteratura per ragazzi”. È vero, non è semplice identificare un libro in un unico genere ma in questo caso direi che l’etichetta più appropriata sia il genere della “fantapolitica” e nello specifico la “distopia”. Non vi sono infatti elementi magici e lo schema narrativo corrisponde a quello proposto dai classici per eccellenza della fantapolitica: Orwell, Bradbury e Huxley. Uno scenario post apocalittico, o post bellico, una dittatura (quella di Capitol City), una polizia segreta (i Pacificatori), un divario enorme tra i privilegiati e gli oppressi. Infine, definirla “Letteratura per Ragazzi” a me pare riduttivo. Al di là del filone sentimentale (che comunque è presente in qualsiasi romanzo), ritengo che possa essere un romanzo universale. I temi affrontati infatti non parlano solo ai giovani, ma anche agli adulti, rammentando che, uniti, è possibile vincere qualsiasi battaglia.
adventurous
emotional
lighthearted
mysterious
relaxing
fast-paced
Plot or Character Driven:
Plot
Strong character development:
Yes
Loveable characters:
Yes
Diverse cast of characters:
Yes
Flaws of characters a main focus:
Yes
Questa saga a mio parere ha un unico difetto: quello di essere etichettata spesso come “fantasy”, “young adults”, “letteratura per ragazzi”. È vero, non è semplice identificare un libro in un unico genere ma in questo caso direi che l’etichetta più appropriata sia il genere della “fantapolitica” e nello specifico la “distopia”. Non vi sono infatti elementi magici e lo schema narrativo corrisponde a quello proposto dai classici per eccellenza della fantapolitica: Orwell, Bradbury e Huxley. Uno scenario post apocalittico, o post bellico, una dittatura (quella di Capitol City), una polizia segreta (i Pacificatori), un divario enorme tra i privilegiati e gli oppressi. Infine, definirla “Letteratura per Ragazzi” a me pare riduttivo. Al di là del filone sentimentale (che comunque è presente in qualsiasi romanzo), ritengo che possa essere un romanzo universale. I temi affrontati infatti non parlano solo ai giovani, ma anche agli adulti, rammentando che, uniti, è possibile vincere qualsiasi battaglia.
dark
emotional
reflective
sad
tense
fast-paced
"Perché anche nei luoghi più angusti i fiori possono sbocciare."
Una famiglia tedesca è in fuga. Ilse, la matriarca, vedova di guerra di un soldato pluridecorato e i suoi cinque figli. Scappano dal nazismo perché a Ilse quello che insegnano nella Hitler-Jugend non piace affatto. Così spera di trovare rifugio tra le montagne della Baviera nella vecchia baita di famiglia. Ma i problemi, le responsabilità e soprattutto la guerra li raggiungeranno anche in quei luoghi impervi.
Non si può parlare di saga famigliare in senso stretto, a meno che non sia previsto un sequel e dalla Spagna ancora non giungono nuove. Rispetto al romanzo di esordio, quest'opera risulta più matura nella struttura e nello stile e si nota il talento dell'autrice prendere forma e sbocciare letteralmente in una crescita esponenziale. Una lettura dai toni drammatici e sognatori in un contesto distruttivo e malsano, Carolina Pobla si rivela una conferma. Attendo con ansia altri suoi romanzi.
Una famiglia tedesca è in fuga. Ilse, la matriarca, vedova di guerra di un soldato pluridecorato e i suoi cinque figli. Scappano dal nazismo perché a Ilse quello che insegnano nella Hitler-Jugend non piace affatto. Così spera di trovare rifugio tra le montagne della Baviera nella vecchia baita di famiglia. Ma i problemi, le responsabilità e soprattutto la guerra li raggiungeranno anche in quei luoghi impervi.
Non si può parlare di saga famigliare in senso stretto, a meno che non sia previsto un sequel e dalla Spagna ancora non giungono nuove. Rispetto al romanzo di esordio, quest'opera risulta più matura nella struttura e nello stile e si nota il talento dell'autrice prendere forma e sbocciare letteralmente in una crescita esponenziale. Una lettura dai toni drammatici e sognatori in un contesto distruttivo e malsano, Carolina Pobla si rivela una conferma. Attendo con ansia altri suoi romanzi.