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uraniaexlibris 's review for:

5.0
adventurous funny reflective relaxing fast-paced
Plot or Character Driven: Plot
Strong character development: Yes
Loveable characters: Yes
Diverse cast of characters: Yes
Flaws of characters a main focus: Yes

 Rileggere un libro della propria infanzia nell’età adulta è sempre piacevole. Del resto, “La Fabbrica di Cioccolato” di Tim Burton resta uno dei miei film preferiti.

Dietro tutte le fiabe però c’è un significato nascosto, un significato che i bambini di solito non colgono fermandosi alla mera struttura narrativa.

Era il 1964 quando Roald Dahl scrisse questa fiaba.

E Roald Dahl era della generazione del 1916. Il che si traduce in un conservatorismo estremo anche dal punto di vista pedagogico.

Del resto come finisce il libro? Sicuramente tutti avremo memoria che chi si comporta male alla fine viene punito e siccome Roald Dahl non è discriminatorio riserva una punizione anche a chi è responsabile di ciò.

Ma gli stessi personaggi sono un simbolo. Avete mai fatto caso, ad esempio, che ciascun bambino rappresenta un peccato o un vizio capitale universalmente condannato dalla morale occidentale (cattolica)?

Augustus Gloop incarna la gola. Il vizio di fare del cibo il perno attorno a cui ruota la sua intera esistenza. Non c’è scena in cui non lo si veda ingozzarsi di qualcosa di commestibile. E anche dopo che la sua ingordigia lo ha messo nei guai, lo si vede comunque mangiare all’atto finale.

Veruca Salt, l’avarizia. Viziata, estremamente capricciosa e insolente. Ha tutto, eppure vorrebbe sempre più di ciò che ha.

Violetta Beauregarde, la superbia. Distaccata, convinta della propria superiorità. Il disprezzo per gli altri la renderà sorda ad ogni avvertimento.

Mike Tivù, l’ira (nel film più che altro l’accidia). Nel libro viene descritto come un esaltato, perennemente iracondo, mentre nel film viene presentato come un indolente, pigro e totalmente inerte nei confronti della vita se non nei confronti della televisione e dei videogame.

Charlie Bucket è, ovviamente, il santo, il bambino buono, tutto carino, educato, timidino, gentile. E grazie al piffero, voglio dire, sono bravi tutti ad essere buoni senza possedere assolutamente nulla.

Il messaggio di Roald Dahl alla fine della fiera è questo: i buoni sono sempre i poveri e i ricchi sono quelli cattivi. Come se non esistessero ricchi buoni e non esistessero poveri cattivi. Insomma, la visione di Dahl della società è piuttosto manichea, tertium non detur, non esiste nessun grigio!

E come non notare l’accezione politica dietro la rappresentazione dei vari personaggi. Non me lo sarei mai aspettata da un ex combattente della Royal Air Force!

Augustus Gloop, di origine tedesca, rappresentato come un maiale che si ingozza perennemente.

Violetta Beauregarde, sembra quasi rappresentare la Francia di Vichy.

Veruca Salt, sì è inglese, ma un buon inglese non è un buon inglese se non criticasse la sua stessa nazione. Del resto, Riley Scott non ha mancato di denunciare le torture che l’Impero Britannico ha perpetrato alle sue colonie, anche se era egli stesso inglese.

Mike Tivù e Charlie Bucket rappresentano l’America. L’America che guarda tanta televisione, ma anche l’America alleata e liberatrice.

Comunque sia, gli amanti dei dolci non possono non adorare questo romanzo che riunisce al suo interno tutte le cose che un bambino sogna nella vita: tanto cioccolato, tante creature strane super folkloristiche, ma soprattutto, ereditare una fabbrica di cioccolato semplicemente stando zitto e buono in una visita che dura ventiquattro ore!