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Una vita come tante by Hanya Yanagihara
4.0

Durante la lettura di Una vita come tante spesso ho raccontato le vicende dei protagonisti alla mia ragazza e a un certo punto ha fatto una domanda che mi ha fatto riflettere: “Ma tutto questo dolore, in un libro, a cosa serve?”.
In effetti non ha tutti i torti: a cosa serve provare tutto il dolore del mondo per poi non cambiare mai, rimanendo invariato. Dalle esperienze negative bisognerebbe uscirne più forti. Dai traumi, in qualche modo, dopo percorsi psichiatrici adeguati ecc, si può sperare di uscirne, magari non guariti del tutto, ma migliori.
Jude è il personaggio al centro del romanzo attorno a cui gravitano i suoi migliori amici (JB, Malcom e Willem), oltre a una serie di altri persone che impareranno a volergli subito bene, ed è ovviamente quello su cui si concentra la scrittrice. Quest’ultima era partita molto bene all’inizio, andando a descrivere tutti gli altri personaggi, molto interessanti, ma a un certo punto se ne dimentica, con il difetto di ritrovarli sempre uguali a loro stessi. Mi ha fatto storcere un po’ il naso che tutti quanti abbiano un successo clamoroso, tant’è che all’inizio, prima ancora di comprarlo, pensavo ingenuamente che si parlasse di quanto fosse difficile mantenere un’amicizia, e la propria umanità/sensibilità in un mondo che fagocita il tuo tempo e le tue aspirazioni sputandoti via come un osso marcio, senza contare che comprendo perfettamente chiunque possa definire questo libro un carosello di sfighe senza pari.
Eppure, nonostante i suoi difetti, Hanya Yanagihara regala un’esperienza davvero totalizzante: ti immerge in una storia densamente dolorosa, tanto che a volte non si riesce a trovare un appiglio. Mi sono commosso due volte e a un certo punto, per la rabbia, avrei voluto spezzarlo in due e calpestarlo. Non bisogna certo leggere un libro per ricordarci che la vita è (anche e soprattutto) dolore, ma leggendo questo in particolare mi sono ricordato che non bisognerebbe mai resistere all’amore proveniente dagli altri: ci si può lasciar cadere senza paura di farsi del male.